giovedì 30 aprile 2015

Nuovo ambulatorio e nuove case

Volevo mandarvi le foto dell'ambulatorio, che è quasi finito, e l'inizio delle nuove costruzioni perché nel messaggio che ho scritto stanotte credo non essermi spiegato bene, nel senso che salvare tante mamme significa anche trovare un tetto per loro e per i loro figli, oltre ad un luogo dove possono essere curate/i. 

E' per questo che scrivevo che ci mancano le forze sufficienti. Ma intanto abbiamo iniziato...



martedì 28 aprile 2015

Salviamo tante mamme!

Martedì, 28 aprile 2015

Salviamo tante mamme!

Oggi compiono un mese gli ultimi due bimbi arrivati qui a casa. Sono arrivati lo stesso giorno, il 16 aprile, quando avevano solo 19 giorni di vita. Sono arrivati da situazioni diverse, ma allo stesso tempo simili: senza un nome, solo il cognome materno; lo stesso giorno di nascita, il 28 marzo; abbandono in ospedali diversi per differenti malattie; peso sui tre chili; occhi scuri e capelli neri, neri. La gente ci chiede se sono gemelli. La cartella della loro storia clinica e sociale riferisce lo stesso motivo: abbandono da parte della madre. E riporta il nome delle due mamme e il luogo di provenienza, due cittadine rurali a varie ore da qui. Non dice: abbandono da parte dei genitori, parla solo della mamma...

... Ieri sera ero solo in macchina alla ricerca, per strada, di una delle nostre mamme scappata da alcuni giorni per disperazione. Ma per strada, in poche decine di minuti, ho trovato tante mamme che conosciamo da tempo: mamme giovani, mamme ammalate, mamme ubriache, mamme consumate dalla droga. Mamme perse che mi gridavano al passare della macchina o che si attaccavano ai miei vestiti appena sceso dalla macchina. Ne ho persino dovuto recupare una dalla polizia, arrestata quel giorno per lite in luogo pubblico. L’ho riportata sotto il suo ponte..

E pensavo alle nostre mamme e ai nostri bimbi, che sono i loro bimbi.
Pensavo anche al centinaio di mamme che vivono con noi, nella casa de los niños.
Pensavo alle mamme che non conosco e che quotidianamente bussano alla porta della nostra casa alla ricerca di un aiuto.
Pensavo alla fragilità umana delle ultime mamme che siamo riusciti a trovare e ad accogliere.

Ma scorrevo anche i nomi di tanti nostri bimbi che sono stati abbandonati dalla loro mamma, come gli ultimi due arrivati: David, Juansito, Gabriel, Jade, Teresita, Daniel, Brandon, Melody, Moisés, Manuel, Jhon, Jacki, Francisco, Valentina, Miguel Angel, Benjamín, Nicol, Víctor, Luciano, Karen, Jesús, Maité, Josué, Mateo, Luisito, Camila, Jhoselin, Danielito, Esperanza, José Luis, Edwin, Sara, Harold, Elizabeth, Luciana, Jacob, Richard, Alejandrina, Belén...

Non mi vengono i nomi di tutti... Sono tanti, sono troppi questi nomi, troppe storie difficili.
Allora dentro di me è spuntato questa specie di grido: dobbiamo salvare tante mamme!
E l’ho pensato tenendo presenti anche tante delle mamme che vivono qui con noi insieme ai loro figli.
Penso a questa nostra casa che porta il nome bellissimo di “casa de los niños”. Casa nata dal desiderio e impulso di una mamma.
Nei dormiveglia notturni, passeggiando per i corridoi della casa, mi capita di ascoltare spesso un grido: mami, mami!

Ma tanti dei nostri bimbi non hanno la fortuna di parlare (alcuni non parlano ancora e tanti non parleranno mai) e forse quel grido scoppia in loro in pianto disperato. E mi viene da pensare che quel grido (mami, mami!) e quel pianto disperato sono forse un altro tipo di preghiera lanciata al cielo dai nostri bimbi. Sono un altro tipo di preghiera a cui dobbiamo inginocchiarci noi de la casa de los niños, in silenzio, e che possiamo imparare a cogliere per riuscire, forse, a salvare tante mamme ancora, anche se ci mancano le forze sufficienti.

Ripenso alla mattina del 16 aprile, il giorno in cui sono arrivati gli ultimi due bimbi. Quella mattina, infatti, siamo andati in ospedale con Piero e Carla, amici piemontesi che erano di passaggio da noi casualmente proprio quel giorno. E’ stato lì in ospedale che ci hanno spiegato meglio del bimbo che, appena nato, era stato abbandonato dalla mamma, e ci chiedevano di accoglierlo. Dopo vari giri da un reparto all’altro, ci siamo resi conto che il bebè si trovava ancora in sala parto, alle cure delle infermiere. Sbrigate le procedure necessarie, ci è stato consegnato il bimbo e la dottoressa ci ha spiegato la sua situazione: una grave malattia genetica poco frequente e che ha un nome strano. Ma avvolto in copertine pulite, Carla, come mamma stupita ed emozionata, ha accolto tra le sue braccia il bimbo e così l’abbiamo portato a casa, felice e tranquillo. Quel pomeriggio stesso, l’abbiamo battezzato con il nome di: Carlitos.

Nella quiete di questa notte, ripenso a questo grido che si innalza, nuovo, dalla casa de los niños: la necessità di salvare tante mamme perché sono tanti i bimbi che hanno bisogno di braccia che li accolgano con stupore e tenerezza come è stato accolto da una mamma Carlitos la mattina del 16 aprile. E sono tante le mamme che hanno bisogno di ritrovarsi per essere riaccolte pure loro dai loro figli. Credo che solo così riusciranno a salvarsi.

lunedì 6 aprile 2015

5x1000 anche nel 2015 per Casa del los Ninos

ringraziamo in anticipo tutti coloro che riterranno opportuno aiutarci

Settimana Santa 2015

Se ricordate, poco prima del Natale avevo mandato un messaggio ricordando "pensieri e volti" di bimbi. Alla fine di quel messaggio, quasi come un desiderio di auguri sinceri per il Natale, parlavo anche del piccolo Gabriel, di 6 mesi, abbandonato dalla sua mamma qui nella nostra casa.

Ieri pomeriggio, alle 5, Gabriel è volato in cielo. Era in ospedale da alcune settimane per una grave infezione che non si riusciva a controllare. Avrebbe compiuto 10 mesi l'11 aprile. Alcune ore prima eravamo andati con un amico sacerdote e con una delle nostre mamme che l'aveva curato in questi mesi per battezzarlo.

L'abbiamo battezzato con il nome di: Gabriel del Cielo.
Gabriel è stato con noi 3 mesi e mezzo.
Nonostante la sua gravissima malattia, lui è stato bene, si è sentito sempre accolto ed amato.
La sua mamma ci aveva chiamato per telefono, alcune volte, ma non è mai venuta a trovarlo.
Ora che vede sarà Gabriel a proteggere la sua debole mamma dal Cielo.
Sabato mattina faremo il funerale. Il piccolo cimiterino davanti alla nostra cappella si corona di fiori e di storie di vita e di dolore.
Dal Natale alla Pasqua: l'arco, il ponte tra terra e cielo, della vita di Gabriel qui con noi...
E noi continuiamo ad abbracciarlo con affetto, anche se con le lacrime agli occhi...

Copio il pensiero del messaggio anteriore che si riferisce a Gabriel:

... Di ritorno, è sabato mattina, passiamo in ospedale ... Ci avvicina una giovane mamma. Un’altra storia dura condivisa sulla soglia dell’ospedale e alle soglie del Natale. Il suo piccolo, Gabriel, di appena 6 mesi, è nato con una grave paralisi cerebrale. Non può deglutire e si nutre con una sonda gastrica, come il nostro Ronald. E’ un bebè spastico, con continue contorsioni del corpo. Fa una difficoltà enorme a respirare per il catarro e la saliva che non deglutisce. Povera creatura e povera mamma. Non si può fare molto per lui e in ospedale non lo possono più tenere. La mamma viene da una città lontana, il suo ragazzo l’ha abbandonata e lei non ha la forza di affrontare una realtà così dura, e non sa a chi rivolgersi. Ha solo 19 anni. E’ sola e smarrita. Chiamo a casa. Siamo tutti d’accordo, mi dicono: che vengano per un tempo da noi. E così nella macchina, di nuovo, una mamma e un bimbo, Cinthia e Gabriel. In fretta si prepara una stanzetta ben ordinata per loro. Capiamo lo smarrimento e i timori di Cinthia, ma cerchiamo di farle capire che non è sola e che lei è mamma: è l’unica cosa di cui ha bisogno il suo figlioletto. Nella nostra casa tutti i bimbi hanno storie difficili, sono stati abbandonati dai genitori, ma tutti sono accolti con amore e tenerezza. Gabriel ha una gravissima paralisi cerebrale ma il suo cuore batte e sente con forza. Infatti, il piccolo piange tanto per il dolore che sperimenta, ma si tranquillizza subito quando la mamma lo prende in braccio. Ci rendiamo conto che Cinthia guarda stupita il muoversi di tanti bimbi così diversi nella nostra casetta. Parla molto poco. E’ smarrita. Domenica pomeriggio decidiamo di fare insieme una passeggiata in città con tutti i bimbi, al mercato in piazza che si veste di Natale. E’ una simpatica e originale fila di tante seggiole a rotelle! Cinthia ci accompagna con Gabriel in braccio che dorme quieto. Un pomeriggio sereno trascorso insieme.

... Stamattina, mentre stavo facendo la spesa, arriva un messaggio sul mio cellulare: “Mi dispiace, ma non sono stata capace di resistere a questa situazione: perdonatemi”. Ci comunichiamo. Le ragazze che sono in casa corrono subito su in stanza e trovano il piccolo Gabriel solo nella culla, che piange: la mamma l’ha abbandonato e se n’è andata. Non abbiamo parole...

Non abbiamo parole e non abbiamo tempo per pensare... Il piccolo ha bisogno di essere cambiato e lavato. Il piccolo ha bisogno di essere accolto. ... Abbiamo passato questa notte insieme con Gabriel che sembrava soffocare per il catarro e aveva bisogno costante dell’aspiratore. Tenerlo in braccio, tra la comunicazione sofferta di un pensiero e l’altro, mi ha ricordato con una certa emozione che il Natale è ormai prossimo, anzi, che è già qui... L’abbraccio di questo suo corpo avvolto in calde copertine ma stremato precocemente dalla malattia, il suo volto avvicinato e stretto al mio, dolcemente, mi ha rivelato con amara sorpresa che Gabriel non vede: le sue pupille sono come spente, vuote. Ma abbracciati diciamo sí, insieme, al Natale, nel silenzio della cucina della casa de los niños, e cogliamo, insieme, l’opportunità e la necessità di farci guidare nella nostra comune cecità da una stella che brilla sopra di noi, che brilla anche per noi.

In questa notte illuminata da questo abbraccio con il dolore mi viene da dire che Natale è già passato davvero, quella volta, tanti secoli fa. Ma nell’infinito del cielo, nel ciclo dell’universo in cui siamo immersi, la stella ritorna, luminosa come un volto. Che bello accorgersene, magari abbracciati insieme.

mercoledì 18 marzo 2015

Ponti

Mercoledì, 18 marzo 2015

La città di Cochabamba è unita da molti ponti che collegano la periferia al centro. Noi che viviamo in periferia li attraversiamo ogni giorno per andare in città: all’ospedale, al mercato o per sbrigare altre pratiche necessarie quotidianamente.

Ieri sera eravamo in macchina con alcuni dei ragazzi che da poco tempo vivono con noi: Melody di 11 anni, suo fratello Brandon (Vladimir) di 13 e Moisés di 14. Cercavamo un cassonetto per la spazzatura: quasi ogni giorno c’è bisogno di fare anche di questo. La stanchezza della giornata e la fretta della notte avevano fatto calare il silenzio in macchina.

Allora, mentre attraversavamo uno di quei ponti il pensiero è andato a Pamela, la mamma di Melody e Brandon, che avevamo visitato due giorni prima proprio sotto quel ponte. Un pensiero difficile che non posso condividere con i nostri ragazzi. Un pensiero che provoca un nodo in gola e un magone in cuore. Pamela ha 28 anni. Dal 2007 sono stati allontanati da lei i suoi due figli a causa dell’alcool. Da allora anche per Melody e Brandon è crollato il debole ponte che li univa alla mamma e al papà, che vive in strada pure lui, ma da un’altra parte della città. Da allora, Melody e Brandon hanno trascorso la loro vita trasferiti da un Centro all’altro dello Stato, fino allo sbarco qui da noi poche settimane fa.

Non hanno quasi ricordi della mamma e del papà. Non so se sarebbero capaci di riconoscerli in mezzo ad altre persone. Melody assomiglia alla mamma e Brandon al papà. Ma ora, il papà e la mamma sono sfigurati da tanti anni vissuti nella desolazione sotto i ponti e nella sporcizia degli angoli bui della strada. Facciamo fatica pure noi a riconoscerli, loro che hanno due figli bellissimi! Mi immagino che gioia sarebbe per loro rivedere due bimbi così belli! I loro bimbi non più bimbi... 

Ho parlato varie volte con la mamma e il papà, separatamente, nelle ultime settimane. Abbiamo offerto loro alternative di vita, ma le vie di uscita a storie radicate da tempo nella tristezza della miseria umana sono lunghe da percorrere e difficili da risalire.

Stasera stiamo in silenzio in macchina e i pensieri vanno a tante situazioni condivise in questi anni da un angolo all’altro, da un ponte all’altro di Cochabamba, ai sogni che nutriamo con illusione, alle speranze che spesso affievoliscono, alle realtà dure che conosciamo da tempo e che rimbalzano di nuovo su di noi senza preavviso, ma che fanno balbettare il nostro fragile cuore. Sono parole che si ripetono nei nostri pensieri e nei messaggi, come note spesso malinconiche. Ma molto dolorose ed altrettanto vere.

Anche la mamma di Moisés, Carmen ha 28 anni: vive per strada e fa la prostituta. Guadagna 120 boliviani al giorno, mi ha confessato sabato scorso, circa 15 euro. Moisés non l’ha mai vista: appena nato l’hanno portato in un Centro. Moisés mi ha detto che non vuole sapere niente di sua madre... Vorremmo chiudere occhi, orecchie e la nostra sensibilità alla realtà che ci circonda, ma... Ma nel pomeriggio di ieri abbiamo sepolto nel cimiterino di fronte alla nostra cappellina una bebè di 5 mesi, morta domenica per abbandono dei genitori, pure loro immersi nella vita disordinata della strada e dell’alcool. Una zia ha portato da noi sconsolata il suo corpo senza vita.

 Milagro, il nome che le avevano dato le infermiere nell’ospedale dove anche noi la vedevamo spesso perché ricoverata a fianco di alcuni dei nostri piccoli ammalati. Un miracolo sfiorito in poco tempo. Infatti, doveva venire da noi, appena dimessa dall’ospedale, ma all’ultimo momento sono apparsi i genitori a dirmi che avevano affittato una stanzetta e che se la sentivano di prendersi cura della loro bimba, nata con problemi, ma sveglia e desiderosa di affrontare la vita. Una vita spenta purtroppo appena un mese dopo...

 Nel silenzio tante domande che non hanno risposta. Non possiamo tornare indietro dal ponte sotto il quale scorre la corrente di affetto che ci spinge ad accompagnare la vita in sospeso di tanti bimbi ammalati, la vita di ragazzi nel fiore degli ideali ma bloccati dal timore, la vita di famiglie disgregate dalla miseria...

 Ci ritroviamo ogni giorno a percorrere i ponti dell’illusione umana, con gli occhi bassi, con la coscienza della nostra fragilità, con timore e in silenzio. Ma se riusciamo ad alzare gli occhi del cuore, allora ci viene in mente che anche l’arcobaleno è un ponte lanciato nel cielo dopo la pioggia.

melody e brandon, oggi e ieri

mercoledì 11 febbraio 2015

Ben arrivato, Juansito Junior!

Casa de los Niños, Bolivia, 11 febbraio 2015

Oggi è arrivato Juansito Junior. Così si chiama per adesso. Ha 4 mesi ed è stato abbandonato in ospedale dalla mamma perché soffre di idrocefalía, anche lui come Juansito e come David.

Da poco se n’è andato David ed ha lasciato il posto a un fratellino più piccolo... E’ un bimbo molto carino che porta in sè il segno di una malattia difficile che ormai è comune nella nostra casa. Non ha ancora un nome e ognuno, qui, fa le sue proposte.

A noi sembra molto uguale a Juansito, quando arrivò 3 anni fa (abbiamo messo due foto). Per questo, per adesso, si chiama Juansito Junior. Gli altri bimbi gli si sono fatti attorno felici di riceverlo. Anche noi siamo felici di averlo qui. Sappiamo poco della sua storia. E vedremo insieme per il suo futuro. 

Intanto, scopriamo che è un bimbo molto buono, che dorme e che prende il suo biberón ogni due ore. 

Speriamo che anche lui sia felice di vivere qui, in questa casa sempre piena di confusione e di sorprese. Dormi, piccolo Juansito, e David dal cielo ci aiuterà a proteggerti!


martedì 20 gennaio 2015

Tutto ciò che non doniamo va perduto (Dominque La Pierre)

Casa de los Niños, Bolivia, 20 gennaio 2015

Mi emoziono al rendermi conto che di là in cucina stasera ci sono Alejandro e Ruth che si incaricano della cena e che lavano i piatti. Sono passati più di 12 anni da quando ci siamo conosciuti. Loro formavano parte dei ragazzi di strada che avevamo incontrato al principio della nostra avventura.

C’erano anche loro nell’estate del 2003, quando vennero per la prima volta a farci visita dall’Italia Luciana ed Elisa senza sapere cosa le aspettava. Quante pazzie in quel tempo, quante scarrozzate in macchina alla ricerca dei bimbi che scappavano dalla nostra prima casa! Sono passati tanti anni, e la nostra storia ha intrapreso altri percorsi, ma in queste ultime settimane siamo tornati di nuovo in strada a raccogliere non solo bimbi ma famiglie intere nel tentativo di ricucire storie difficile perché la situazione sociale della Bolivia continua a provocare tante disgregazioni e viene chiesto il nostro aiuto.

Così è stato oggi quando in macchina si è riunita la famiglia di Betty, madre sfigurata dalla lunga esperienza di strada, ma pur sempre madre nell’abbraccio dei ritrovati tre figli. Due mesi fa avevamo nuovamente offerto un’alternativa di vita anche a Alejandro e Ruth, che da allora vivono in una delle nostre casette. Loro ormai sono grandi, da tempo vivono insieme ed hanno due figli: Luciana (nome non scelto a caso!) e Jacob, di 4 e 2 anni, bimbi che non vivono con loro perché gli sono stati sottratti fin da piccolini dalla polizia quando vivevano l’esperienza della strada e della droga.

Luciana e Jacob sono attualmente accolti in un altro Centro dello Stato e noi ci stiamo incaricando delle pratiche legali per reinserirli nella loro famiglia. La stessa cosa è successa a Betty nei giorni scorsi. La polizia le ha sottratto i figli e li ha affidati al nostro Centro, ma in questo caso il reinserimento è più facile visto che noi possiamo immediatamente offrire loro un luogo dove vivere insieme alla mamma.

Certo, questa mamma deve essere seguita ed aiutata a venir fuori dalla sua situazione dopo tanti anni in strada. Ma il processo, senza tanti schemi, è iniziato oggi stesso in macchina quando la portavamo a casa e Alejandro e Ruth hanno preso l’iniziativa di parlarle a cuore aperto, con grande chiarezza: “Se vuoi stare con i tuoi figli, devi cambiare. Dipende da te. La casa de los niños ti offre il suo appoggio, ma sei tu che devi scegliere ciò che è importante per la tua vita e per la vita dei tuoi figli. Noi ci stiamo provando.”

Processo continuato qui a casa, quando Alejandro e Ruth hanno preparato la cena per Betty e i suoi tre figli, quando hanno cercato i vestiti per lei, dopo una giornata piena di pioggia, e Ruth si è incaricata di insegnarle il funzionamento della doccia calda. Sono passati tanti anni, la nostra storia ha preso un indirizzo diverso.

Ma le necessità ci spingono a ritornare sui nostri passi, a ripercorrere le strade sofferte della città, a stringerci qui in casa per fare posto a chi ha perso l’orientazione e la speranza. Avevamo iniziato l’anno non con cenoni, ma rubando parte del nostro sonno per vedere il film: La città della gioia. Un film semplice e bello che termina con una frase che ci interpella continuamente e che ci piace molto: “Tutto ciò che non doniamo va perduto”.

Emoziona pensare che quegli stessi bambini di un tempo, che magari hanno fatto tante scelte sbagliate nel trascorso di tutti questi anni, ora sono protagonisti con noi di spazi e spiragli di speranza per altri. Sono passati tanti anni da quando sono venute per la prima volta qui, proprio a dar vita alla casa de los niños, Luciana ed Elisa. Con loro avevamo capito che dovevamo dare ciò che potevamo, senza interesse alcuno e senza far calcolo dei risultati. Quanti sforzi, quante illusioni e quanti fallimenti da allora! Ma Alejandro e Ruth di là in cucina che lavano i piatti con tanta semplicità e normalità improvvisamente accendono i ricordi e sprigionano emozioni: forse qualche cosa siamo riusciti a donare davvero in tutti questi anni e allora quel qualcosa non è andato perduto.

Tra qualche ora, proprio Alejandro e Ruth prenderanno l’autobus e accompagneranno José Luis, un bimbo di 12 anni che la polizia ha trovato solo e sperduto nella stazione e l’ha portato da noi 2 settimane fa, ad un paese a 5 ore da Cochabamba perché possa incontrarsi con il suo papà. Un’altra avventura, uno sprazzo di storia che può aprirsi a spiragli di speranza. Anni fa eravamo noi che percorrevamo chilometri senza sosta per riportare i bambini nelle loro famiglie. Domani saranno Alejandro e Ruth a darci una mano.

Forse l’anno è iniziato nel buon segno: “Ciò che abbiamo cercato di donare insieme in questi anni forse non è andato perduto”. ... E’ notte, i bimbi sono riusciti a riprendere il sonno, io sto finendo di scrivere questo messaggio ed ora, come tanti anni fa, ne approfitto per scendere in cucina a prepararmi una meritata tazze di latte coi biscotti: un classico della mia/nostra storia!

... Ho dimenticato di avvisare che all’inizio dell’anno è venuta finalmente a vivere con noi anche Sara, la ragazzina in seggiola a rotelle di cui parlavamo qualche mese fa. E’ felicissima!